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Che cos’è , dunque il Jeet Kune Do. Letteralmente “Jeet” significa intercettare o fermare; “Kune” significa pugno; “Do” è la via. La verità ultima – quindi – “la via del pugno che intercetta”. Ricordate, tuttavia, che il “Jeet Kune Do” è solo un nome di convenienza. Non mi interessa il termine in se; mi interessa il suo effetto liberatorio quando il J.K.D viene usato come specchio per auto esaminarsi. A differenza di un’Arte Marziale “classica” non esiste una serie di regole o una classificazione di tecniche che costituiscono un “distinto sistema di combattimento del Jeet Kune Do” Il J.K.D non è una forma di preparazione speciale con la sua rigida filosofia. Il J.K.D guarda il combattimento non da un solo angolo, ma da tutti gli angoli possibili. Mentre il J.K.D usa tutti i mezzi e tutte le vie per perseguire il proprio fine (dopotutto l’efficienza è ogni cosa che va a segno) , non è limitato da nessuno di questi ed è quindi libero. In altre parole il JKD possiede tutto, ma non è posseduto da niente. Quindi cercare di definire il JKD in termini di uno stile distinto (che sia Kung Fu, Karate, Street Fighting, L’arte di Bruce Lee) significa perderne completamente il significato. I suoi insegnamenti non possono essere semplicemente confinati entro uno stile. Visto che il JKD al tempo stesso “è” e “non “è”, e non si oppone né aderisce ad ogni stile. Per capire pienamente tutto ciò, uno deve trascendere la dualità del “per” e “contro” in un’unità organica che è senza distinzione. Capire il JKD è la diretta intuizione di quest’unità. Non vi sono, negli insegnamenti del JKD delle unità pre-organizzate o dei “kata” , né sono necessari. Considerate ora la sottile differenza tra “non avere nessuna forma” ed “essere privi di forma”; la prima è ignoranza, la seconda è trascendenza. Attraverso le sensazioni intuitive del corpo, ognuno di noi “conosce” il proprio modo più efficiente e dinamico per trovare punti di appoggio, per avere equilibrio in movimento , per avere un uso economico di energia, ecc. Schemi, forme o tecniche toccano solo la superficie della genuina comprensione. Il fulcro della comprensione sta nella mente individuale e finché questa non viene toccata, tutto resta incerto e superficiale. La “verità” non può essere percepita fin quando non saremo in grado di capire noi stessi ed il nostro potenziale. Dopo tutto la conoscenza, nelle Arti Marziali, significa conoscenza di se “stessi”. A questo punto potreste chiedere “come posso acquisire questa conoscenza?” Questo lo dovrete scoprire da soli. Dovete accettare il fatto che non vi è altro tipo di aiuto al di fuori di quello che viene da noi stessi. Per la stessa ragione non vi posso dire come raggiungere la libertà, aiuto che la libertà esiste dentro di noi. Non posso dire cosa non fare, non posso dirvi cosa “dovrete” fare, visto che ciò significherebbe confinarne ad un approccio particolare. Le formule possono inibire la libertà, mentre tutte le prescrizioni dettate dall’esterno distruggono la creatività ed assicurano la mediocrità. Tenete bene in mente che la libertà che viene dalla conoscenza di se stessi non può essere acquisita attraverso la stretta aderenza di una formula; non “diventiamo” improvvisamente liberi, noi lo “siamo” semplicemente. Apprendimento non significa mera imitazione, né si identifica con l’abilità di accumulare o rigurgitare una conoscenza fissa. L’apprendimento è una costante processo di scoperta, un processo senza fine. Nel JKD iniziano non con l’accumulazione, ma con la scoperta della causa della nostra ignoranza, scoperta che comporta un processo di divisione. Sfortunatamente, la maggior parte degli studenti nelle arti marziali sono conformisti. Invece di imparare a dipendere da se stessi per esprimersi, seguono ciecamente i loro istruttori, senza “sentire” più da soli, e trovano sicurezza nell’imitazione di massa. Il prodotto di questa imitazione è un mente dipendente. Viene dunque sacrificato lo spirito critico, essenziale per una comprensione genuina. Date un’occhiata alle Arti Marziali ed osservate l’assortimento di professionisti della routine, di robot desensibilizzati, di glorificatori del passato e così via, tutti seguaci o esponenti di disperazione organizzata. Quante volte ci è stato detto da diversi “sensei” o “maestri” che le Arti Marziali sono la vita stessa? Ma quanti di loro capiscono veramente ciò che dicono? La vita è un movimento costante, ritmico e casuale al tempo stesso; la vita è mutamento costante ma non stagnazione. Invece di fluire naturalmente e passivamente con questo processo di cambiamento, molti di questi “maestri” nel passato e nel presente, hanno costruito un’illusione di forme fisse, sottoscrivendo concetti tradizionali e tecniche dell’arte, solidificando ciò che fluisce perennemente, sezionando la totalità. La scena più pietosa è di vedere studenti sinceri ripetere onestamente quegli esercizi ripetitivi e vederli ascoltare le loro stesse urla e grida spirituali. Nella maggior parte dei corsi, i mezzi che questi “sensei” offrono ai loro studenti sono così elaborati che lo studente deve dare loro un’attenzione tremenda finché finisce col perdere gradualmente di vista il fine. Gli studenti finiscono col mettere in pratica le loro metodiche routine come una mera risposta condizionata, piuttosto che “rispondere” a “ciò che è” . Non “ascoltano” più la circostanze; “recitano” le loro circostanze . Queste povere anime sono intrappolate nel marasma dell’allenamento delle arti marziali tradizionali. Un insegnante, un Sensei veramente buono, non è mai un “donatore di verità” è una guida “un’indicazione “ della verità che lo studente deve scoprire da sé. Un buon insegnante dunque, studia ogni studente individualmente ed incoraggia lo studente a scoprire se stesso, sia interiormente che esteriormente. fino a quando, infine lo studente si sia integrato nel proprio essere. Per esempio un maestro capace stimolerà la crescita del suo studente facendolo confrontare con certe sue frustrazioni. Un buon insegnante è un catalizzatore. A parte il possesso di una profonda comprensione deve anche avere una mente capace di rispondere con grande flessibilità e sensibilità. Non vi è nessun standard nel combattimento totale, ed ogni tipo di espressione deve essere libera. Questa verità liberatrice è una realtà fino a quando viene “vissuta e sperimentata” dall’individuo stesso; è una verità che trascende gli stili o le discipline. Ricordate anche che Jeet Kune Do è solo un termine. Un’etichetta da usare come un barca per permettere la traversata di qualcuno; una volta dall’altra parte non viene smantellata per essere portata in spalla. Questi pochi paragrafi sono, al meglio, “come un dito che punta la luna”. Per favore non credete che il dito sia la luna e non fissate il vostro sguardo così intensamente sul dito, perdendo tutte le meraviglie celesti. Dopotutto l’utilità del dito sta nel puntare da se stesso alla luce che illumina il dito e tutto il resto.  Se da tutto ciò non ottenete altro che un nuovo punto di vista sull’allenamento, avrete ottenuto un elemento cruciale del mio insegnamento. Non illudetevi. Se non vi allenate, non otterrete risultati. E, se non vi piace allenarvi, con tutta probabilità non lo farete.

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