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DI BRUCE LEE INTERVISTA ( Black Belt Magazine, Settembre 1971 ) Sono il primo ad ammettere che cristallizzare il Jeet Kune Do in un articolo scritto non e’ certo un’impresa facile. Forse fino ad ora non ho mai scritto niente di persona nel J.K.D per evitare di far risultare da un “processo” una “cosa”. In effetti e’ difficile spiegare che cos’è il J.K.D , anche se potrebbe essere più facile spiegare ciò che non è. Lasciatemi incominciare con una storia Zen, questa storia può essere familiare per alcuni, ma la voglio ripetere per la sua appropriatezza. Interpretate questa storia come uno strumento per alleggerire i propri sensi, la propria attitudine e la propria mente, così da renderli flessibili e recettivi. Avrete bisogno di tutto ciò per capire questo articolo, altrimenti potete pure evitare di continuare a leggere. Un erudito andò un giorno a visitare un Maestro Zen per interrogarlo sullo Zen. Come poi spiegò il Maestro Zen, l’erudito lo interrompeva spesso con frasi come,”oh, si, anche noi abbiamo questo… “ e via dicendo. Alla fine il Maestro Zen smise di parlare e iniziò a servire il tè all’erudito. Riempì la tazza per poi continuare a versare il tè fino a quando la tazza non traboccò. “basta!” interruppe l’erudito. Non ci può stare più tè nella tazza” “certo, lo vedo,” rispose il Maestro Zen. “Se prima non svuoti la tua tazza, come puoi assaggiare la mia tazza di tè?” Spero che i miei colleghi nelle Arti Marziali leggeranno i seguenti paragrafi con apertura mentale, lasciando dietro il peso di opinioni e conclusioni preconcette. Questo atto, tra l’altro, ha in se forza liberatrice. Dopotutto l’utilità della tazza sta proprio nel fatto che è vuota. Fate in modo che questo articolo sia messo in relazione con voi stessi, perché anche se tratta J.K.D è primariamente inteso alla “fioritura” del praticante di Arti Marziali – non del praticante “Cinese”, “Giapponese” eccetera … Un praticante di Arti Marziali è prima di tutto un essere umano. Così come le Nazionalità non hanno niente a che vedere con l’umanità di ognuno di noi, così niente a che vedere con le Arti Marziali. Lasciate indietro il vostro guscio protettivo di isolamento e mettetevi “direttamente” in relazione a quanto viene detto. Ritornate ai vostri sensi escludendo tutte le stupidaggini intellettuali che possono intervenire. Ricordate che la vita è un continuo mettersi in questione. Ricordate anche che non cerco né la vostra approvazione né influenzarvi verso il mio modo di pensare. Sarò più che soddisfatto se, come risultato di questo articolo, inizierete ad investigare tutto da soli e la finirete di accettare senza spirito critico formule prescritte che dettano “questo è quello” e “quello è questo”. Supponete che alcune persone che si sono allenate in stili diversi di Arti da combattimento siano testimoni dello stesso combattimento da strada. Sono sicuro che sentirete versioni diverse da ognuno di questi individui. Questo è piuttosto comprensibile visto che una persona non può vedere un combattimento (o qualunque altra cosa) “come veramente è” fino a quando è accecata dal suo specifico punto di vista, come il suo stile, e fino a quando vedrà il combattimento attraverso le lenti del suo tipo di preparazione. Combattere, “com’è veramente” è semplice e totale. Non è limitato alla nostra preparazione specifica di praticante di un’Arte marziale cinese. La vera osservazione inizia quando uno va oltre gli stili o sistemi. Prima di esaminare il Jeet Kune Do, consideriamo cos’è veramente un’Arte Marziale tradizionale. Per iniziare, dobbiamo riconoscere il fatto inconfutabile che, indipendentemente che dalle loro soventi colorite origini (create da un saggio e misterioso monaco, portate in sogno da un messaggero, appare durante una divina illuminazione ecc. ecc.…..). Gli stili sono creati dagli uomini. Uno stile non dovrebbe mai essere considerato verità rivelata, le cui leggi e principi non possono essere mai violate. L’uomo inteso come individuo vivente e creativo, è sempre più importante di qualsiasi stile prestabilito. È concepibile che molto tempo fa un certo praticante di Arti Marziali avesse scoperto una certa verità parziale. Durante la sua vita l’uomo resistette alla tentazione di organizzare questa verità parziale, anche se questa è una comune tendenza nella ricerca dell’uomo nella sicurezza e delle certezze della vita. Dopo la sua morte gli studenti presero le “sue” ipotesi, i “suoi” postulati, il “suo” metodo e li trasformarono in legge. Furono inventate credenze impressionanti, furono prescritte cerimonie solenni e rinforzanti, furono formulati rigidi schemi e filosofie e così via, finché non fu finalmente eretta un’istituzione. Cos’ì ciò che originava dall’intuizione di un uomo su di un certo tipo di fluidità personale fu trasformato in una nozione solida e fissa, completa di risposte organizzate e classificate in ordine logico. Facendo tutto ciò i ben intenzionati studenti non hanno solo fatto del suo sapere un tempio sacro, ma anche una tomba della quale hanno seppellito la sua saggezza. Ma la distorsione non finisce necessariamente qua. In relazione “all’altra verità” un altro praticante di Arti Marziali, o forse un discepolo insoddisfatto, organizza un approccio opposto, come lo stile “dolce” contro lo stile “duro”. La scuola “interna” contro la scuola “esterna”. E tutti questi “non sensi” separati. Presto l’opposta fazione diventa anch’essa una vasta organizzazione, con i suoi schemi e le sue leggi. Inizia una rivalità, con ogni stile che afferma di possedere la “verità” con l2esclusione delle altre. Al massimo gli stili sono parti staccate di un tutto unitario. Tutti gli stili richiedono modifiche, parzialità, negoziazioni, condanne e un sacco di auto-giustificazioni. Le soluzioni che ci costringono con la nostra crescita naturale ostruiscono la strada alla genuina comprensione. Divisi per natura, gli stili tengono le persone “divise” tra di loro piuttosto che tenerle “unite”.  Non si può esprimere se stessi pienamente quando si è imprigionati da uno stile che pone dei limiti. Il combattimento “come veramente è” è totale e include tutti gli “è” come tutti i “non è”, senza avere angoli o linee preferite. Essendo privo di confini, il combattimento è sempre fresco, vivo e cambia in continuazione. Il vostro stile particolare, le vostre inclinazioni personali e il vostro assetto fisico sono tutte “parti” del combattimento, ma non costituiscono il “tutto” del combattimento. Le nostre risposte dovessero diventare dipendenti da ogni singola parte, reagirete in termini di ciò che “dovrebbe essere” invece che in termini della realtà del sempre variante “è”. Ricordate che mentre il tutto è evidenziato in tutte le sue parti, una parte isolata, efficiente o meno, non costituisce il tutto. Esercizi prolungati e ripetitivi forgeranno certamente una precisione meccanica e la sicurezza di questo tipo è il risultato di ogni routine . Tuttavia è proprio questo tipo di sicurezza “selettiva” o “stampatella” che limita o blocca la crescita del praticante di Arti Marziali. Infatti molti praticanti sviluppano un gusto e una dipendenza dalla loro “stampella” al punto tale da non poter più camminare senza. Quindi, ogni tecnica specifica per quanto chiaramente disegnata è, di fatto, un freno inibitorio. Che sia chiaro per tutti che non ho inventato un nuovo stile, un nuovo composto, o una nuova modifica. Non ho in nessun modo messo il J.K.D in una forma distinta, governata, da leggi che lo distinguono “Questo” stile o “quel” metodo. Al contrario spero di liberare i miei colleghi dal vincolo degli stili, schemi e dottrine. 

Intervista Larry Hartsell
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